Per quasi tutti i paesi e le località – specie nell’area alpina/prealpina, ma non solo – nei secoli sono stati coniati simpatici, – spesso irriverenti – soprannomi per i gli abitanti del luogo, taluni scherzosi, talaltri legati ad antiche usanze, tradizioni o leggende; Dizzasco non fa eccezione, perché, da secoli, i suoi abitanti sono soprannominati “i àsan”, gli Asini.
Lo si deve ad un’antica leggenda popolare per un episodio capitato in un imprecisato anno di un secolo lontano, quando per il rispetto dovuto ai frutti della terra e della natura, non si buttava via niente. Anche a Dizzasco questa era una regola fondamentale di vita, e questo, non lo dice solo la leggenda, ma lo insegna la storia, lo narrano i vecchi, nei secoli scorsi, davvero quando le condizioni economiche medie delle famiglie del lago e delle nostre montagne, non permettevano certo alcuno spreco, si faceva di tutto per “non buttare via nulla”, per “godere tutto” (dal dialetto, per “sfruttare tutto – terra, cibo, animali). Erano anni in cui un frammento di terra coltivabile o un animale erano una ricchezza inestimabile e una sicurezza per il sostentamento delle famiglie.
Ma, proprio per questo, – secondo la leggenda –a Dizzasco, forse per necessità o forse per spilorceria, – si giunse all’estremo: per nutrire l’asino del paese, senza lasciare andare perduto neanche un ciuffo d’erba, si valutò utile issarlo sul campanile ove, (malauguratamente) erano cresciuti dei bellissimi ciuffi verdi, una delizia per l’animale! E, siccome nulla doveva andare sprecato, si valutò e si cercò di capire quale potesse essere la soluzione migliore per poter dar da mangiare quella bella erbetta fresca all’asino affamato. Si ignora chi abbia avuto la brillante trovata, ma si dice che, tutti d’accordo, i dizzaschesi abbiano valutato utile issare la povera bestia, sollevandola con un’imbragatura di corde fin lassù, in cima al campanile, ove si trovava il prelibato nutrimento, pronto per essere consumato dal povero asino.
Pur buona che fosse l’intenzione, – ma resta pur sempre aperta l’ipotesi che l’idea balzana fosse stata spinta all’estremo da quel “pizzico di cupidigia” dei locali,- di certo la questione fu gestita in modo avventato e affrontata con un’imperizia tale da sottovalutarne le possibili conseguenze. Infatti, quando l’asino fu issato ad una quota tale da permettergli di brucare l’erba cresciuta in cima al campanile, l’animale cominciò a ragliare, dapprima pian piano “Avrà paura?” “Sarà emozionato, lassù in alto?” – pensavano i numerosi accorsi ad assistere all’inconsueto evento, – poi sempre più forte, quasi strillando.
Pare che la maggioranza fosse concorde nel leggere nei ragli d’asino la felicità del povero animale per l’inconsueta prelibatezza che gli si stava offrendo. E lo lasciarono lì… stupiti dal fatto che lo sfortunato animale, non solo non apprezzasse l’erbetta fresca offerta sulla cima del campanile, ma addirittura la snobbasse: disinteresse totale.… L’asino, non mangiava, non si muoveva, e, ben presto, smise di ragliare. Per sempre.
Grazie all’imbragatura di corde, – e probabilmente ad un avventato issaggio – il malcapitato asino era morto soffocato.
Da allora, gli abitanti di Dizzasco sono – a ragione – soprannominati “i àsan”, in memoria di un progetto che, se fosse capitato oggigiorno, sarebbe certo balzato agli onori della cronaca oggetto di feroci critiche da parte dei più focosi animalisti, che avrebbero – giustamente- tacciato un intero paese di efferato “animalicidio”.
Dalla leggenda alla festa Invasione degli asini
Dalla leggenda alla realtà: fu un’idea geniale quella del gruppo dell’Associazione Amici Dizzasco e Muronico – col patrocino del comune -, che undici anni fa trasformò la leggenda in un evento di arte, folklore e cultura che restasse a memoria imperitura, inventando, appunto l’annuale “Invasione degli Asini”, regalando al paese, per un giorno all’anno, una grande festa tutta incentrata sugli asini. E da allora, la kermesse lascia in eredità in paese, parecchi e stupendi segni artistici: pitture, statue, installazioni e dipinti, aventi l’asino come protagonista, stanno, poco alla volta trasformando il paese in un museo a cielo aperto.
by Stefania Pedrazzini