La zona compresa tra Verbano e Lario, col Ceresio al centro, per la sua posizione e per la presenza di vie d’acqua e di terra, ebbe per millenni la funzione di cerniera tra il mondo italico e quello transalpino, agendo come crocevia commerciale, militare e culturale.
Durante la Cultura di Golasecca (sviluppatasi circa tra il 1200 e il 400 a. C., comprendente cioè l’Età del Bronzo Finale e la Prima Età del Ferro) nelle terre dei laghi lombardi correvano i principali itinerari commerciali tra gli Etruschi e i Celti transalpini della Cultura di Halstatt.
La Cultura di Golasecca prese il nome dal paese presso Sesto Calende dove venne individuata per la prima volta (nell’Ottocento) una sua necropoli ed era diffusa nelle attuali terre del Piemonte orientale, Lombardia occidentale e Canton Ticino; i “Golasecchiani” (termine moderno) comprendevano gli antichi popoli dei Leponti (tra Lugano, il Lago Maggiore e l’Ossolano), degli Orobi (tra Como e Bergamo), degli Insubri (tra Milano e i laghi) e dei Laevi Ligures più a Sud, verso il Po: si trattava di popolazioni linguisticamente celtiche ma con un celtismo “italico”, distinto da quello transalpino.
Tra i numerosi villaggi golasecchiani, due si svilupparono particolarmente, dando luogo a dei veri centro protourbani, con distinzione tra zone residenziali e zone produttive: si tratta del comprensorio di Castelletto Ticino – Sesto Calende (con la necropoli di Golasecca) e di quello della Como protostorica, situata nell’attuale Spina Verde (Prestino – Pianvalle).
A questi due comprensori giungevano i mercanti etruschi, mentre i Golasecchiani si incaricavano di trasportare le merci da e verso la valle del Reno: dal Nord provenivano soprattutto sale (preziosissimo per conservare i cibi), stagno (proveniente dalla Cornovaglia e necessario per produrre il bronzo) e l’ambra (con cui gli artigiani italici creavano gioielli); dal Sud venivano invece inviati oggetti di lusso prodotti in Etruria o (soprattutto) nello colonie greche del meridione o nella Grecia stessa, assai richiesti dalla nobiltà celtica.
Alla fine del VI secolo a. C. il sito di Castelletto Ticino – Sesto Calende fu abbandonato, per cui la Como protostorica non ebbe più concorrenti e si sviluppò fino a occupare una superficie di 150 ettari! Al museo di Como si possono osservare le conseguenze di questo suo ruolo di crocevia commerciale e culturale: vi si trovano reperti legati al mondo greco (es. ceramica attica), al modo etrusco (Schnabelkanne, cioè brocca a becco d’anitra; moneta), a quello veneto (situla, cioè secchio in lamina di rame decorato a sbalzo), e ovviamente al mondo celtico transalpino (spada con impugnatura ad antenne; spettacolare carro da cerimonia in bronzo tipico della cultura celtica di Halstatt).
Agli inizi del IV secolo a. C. calarono in Italia altri Celti, quelli di età storica (Galli), che giunsero addirittura a minacciare Roma e spezzarono il sistema commerciale che aveva fatto prosperare la Como protostorica, che in buona parte si spopolò.
Anche dopo la conquista romana Como ebbe un ruolo marginale, finché Giulio Cesare nel 59 a. C. non fondò Novum Comum, una nuova città cinta di mura e posta in riva al lago, dove si trova tuttora e che ebbe grande sviluppo tra I e II secolo d. C., al tempo dei suoi più illustri cittadini: Plinio il Vecchio e Plinio il Giovane.
Ma fu in età tardoromana che Como si riappropriò pienamente del suo ruolo di cerniera logistico-militare: vel V secolo d. C. è documentata presso il capoluogo lariano una delle quattro flotte imperiali stanziate in Italia: Como aveva la stessa importanza di un porto di mare, in quanto il Lario era la via per raggiungere le province transalpine e il limes renano.
Con l’Alto Medioevo inizia una nuova missione culturale che vedrà protagonista la terra dei laghi lombardi fino ai giorni nostri: la capacità di far circolare in Italia e in Europa, mediante le sue maestranze itineranti, idee e tecniche nel campo dell’edilizia e della decorazione, dai carpentieri della valle di Antelamo (Intelvi) presenti a Pavia prima del X secolo, ai maestri da muro del Romanico, ai Campionesi del periodo gotico. A Roma le botteghe di Andrea Bregno di Osteno nel Quattrocento e quella del pelliese Ercole Ferrata nel Seicento erano frequentate dai massimi artisti presenti nell’Urbe (da Michelangelo al Bernini), che si scambiavano idee e modelli. Inoltre furono spesso gli Intelvesi a diffondere per primi in Europa forma d’arte nate in Italia: per citare solo pochi nomi, Domenico Allio di Scaria esportò l’architettura rinascimentale in Stiria (Austria), mentre l’architetto pelliese Carlo Lurago con lo stuccatore G.B. Carloni di Scaria introdussero il Barocco in Baviera e l’elenco potrebbe continuare con innumerevoli esempi.
Spesso sono la conformazione naturale di un luogo, unita a particolari eventi storici, a determinare il destino di un popolo: ciò è avvenuto sicuramente per gli abitanti delle terre dei laghi lombardi.
Marco Lazzati